L’autonomia differenziata delle Regioni, così come approntata dal ministro Calderoli, sta spaccando l’Italia già da ora, senza nemmeno essere entrata in vigore. Associazioni, partiti e cittadini, per lo più nel Meridione, si sono scagliati contro il provvedimento al punto che è in atto la raccolta firme per lo svolgimento di un referendum che l’abroghi. La Ficei ha scelto di esaminare la materia, senza ideologie e bandiere di partito, attraverso uno studio che approfondisca l’argomento anche dal punto di vista economico. E sono emerse alcune criticità. A partire dalla difficoltà della determinazione dei tanto discussi Lep (Livelli Essenziali di Prestazione) e il loro finanziamento. Ma, secondo Ficei, ha sollevato perplessità anche il tema delle risorse umane e amministrative necessaria a dare concreta attuazione volta per volta ai possibili trasferimenti di competenze e attribuzioni.
Non solo, le materie «non Lep», quelle cioè che non sono soggette alla valutazione dei livelli essenziali di prestazioni, sarebbero trasferibili immediatamente alle Regioni che ne faranno richiesta. La legge stabilisce che il funzionamento delle attribuzioni eventualmente devolute alle Regioni, ovvero alla Regione richiedente, avverrà attraverso il gettito tributario regionale. È altamente probabile, rileva la Federazione, che le Regioni che disporranno di maggiore base imponibile, potranno a loro volta disporre di maggiori risorse, anche in misura superiore rispetto a quelle necessarie a sostenere le nuove attribuzioni. Da non sottovalutare i problemi relativi alla distribuzione delle funzioni amministrative; l’assenza di misure di perequazione, ovvero dell’istituzione di un fondo perequativo; l’assenza di specifiche misure a tutela dell’interesse nazionale; l’assenza di una determinazione specifica in relazione ai costi e agli oneri dell’intervento.
In quest’ottica ci troveremmo davanti a un duplice paradosso: ogni Regione potrebbe chiedere l’attribuzione di una o più materie, con la conseguenza che ci si potrebbe trovare al cospetto di una pluralità di discipline normative riferite a medesime fattispecie. L’altro ulteriore paradosso che potrebbe verificarsi è dato dall’extragettito delle risorse nelle Regioni con maggiore base imponibile, la quale cosa porrebbe problemi di equità nazionale, e genererebbe un sistema di finanza pubblica a detrimento di risorse finanziarie per lo Stato.
Criticità potrebbero sorgere anche nel mondo dell’impresa e dell’economia e che possono interessare più particolarmente le aree di sviluppo ed insediamento industriale, e la governace delle stesse. «Vi sono materie – rileva Fice – come produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia che si presentano come difficilmente frazionabile, investendo le seguenti aree tematiche, quali, la valorizzazione dei beni ambientali, parchi e riserve naturali, inquinamento, smaltimento rifiuti, risorse idriche, difesa del suolo, acque e acquedotti e altri». Un esempio può essere il commercio con l’estero nel cui ambito rientra l’importante area tematica dell’internazionalizzazione delle imprese, già oggi interessata da una disciplina farraginosa. Ma anche la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, appare difficilmente frazionabile, in ragione della non frazionabilità del bene tutelato: ambiente, ecosistema beni culturali.
In definitiva, secondo lo studio, il sistema produttivo, e con esso le imprese potrebbero trovarsi al cospetto di una disciplina differenziata (quindi, diversa per Regioni), in tema di autorizzazioni edilizie, regolazione portuale, commercio con l’estero, e tutela dell’ambiente, e tanti altri. Bisognerà quindi fare i conti con un modello normativo ancor più frammentario, e foriero di aggravamenti amministrativi, specie per i gruppi insediati in più aree produttive dislocate tra diverse Regioni.
«Da questo studio è emerso come diversi siano gli ambiti nei quali l’autonomia differenziata può incidere con riferimento alle politiche di insediamento industriale: dal governo del territorio alle grandi infrastrutture come porti e aeroporti, alle reti di trasporto e di navigazione, alla distribuzione e al trasporto di energia, solo per citarne alcune» ha affermato Antonio Visconti, presidente della Federazione italiana consorzi enti industrializzazione e presidente dell’Area di sviluppo industriale di Salerno.
«È evidente che da un lato le Regioni rappresentano uno strumento di maggior coordinamento con le politiche insediative e che spesso i primi interlocutori proprio in questi ambiti sono le Regioni, ma dall’altro lato immaginare dei settori differenziati tra Regione e Regione o delle discipline diversificate può aumentare l’incertezza e anche diminuire l’attrazione del nostro Paese per gli investimenti. Il tutto, tra l’altro, è quasi contraddittorio rispetto alla disciplina sulla Zes unica che vede una macro regione composta da otto regioni, che hanno un unico soggetto chiamato ad autorizzare gli insediamenti produttivi, proprio nell’ambito della struttura di emissione della Zes», rileva Visconti.
«Per cui riteniamo che questo provvedimento – conclude il numero uno della Federazione – abbia ancora oggi dei grossi limiti, apra una serie di dubbi e anche perplessità su quelle che potrebbero essere degli interventi da parte dei legislatori regionali poco utili al sistema delle imprese, che chiede certezza delle regole, uniformità, snellimento burocratico, accelerazione degli interventi. Ci auspichiamo davvero che materie così complesse non creino una frammentazione delle politiche insediative industriali».